Arazzo con giochi di putti
Giulio Romano , 1540 - 1545
Descrizione
Sotto un pergolato con foglie di castagni e tralci di vite giocano degli amorini: alcuni si arrampicano su una spalliera ricoperta di fichi, altri suonano zufoli e tamburi mentre altri danzano. In primo piano accanto a un ruscello spiccano delle zucche, delle papere e una tartaruga. In cima al centro è visibile lo stemma cardinalizio di Ercole II Gonzaga. Questo frammento fa parte di un famoso ciclo di arazzi denominato “Li Puttini” realizzato nel Rinascimento per la signoria del Gonzaga di Mantova. Si tratta di uno dei vertici della arazzeria rinascimentale, grazie alla felice invenzione compositiva di Giulio Romano e alla fedele restituzione dell’esperto artigiano Nicolas Karcher. Oltre al panno oggi al Poldi Pezzoli il resto del ciclo consta di dieci pezzi ed è diviso tra il Museo Calouste Gulbenkian di Lisbona in Portogallo, Compton Wynyates in Inghilterra (collezione del marchese di Northampton) e Palazzo Ducale di Mantova. Nel 1539 l’arazziere fiammingo Nicolas Karcher era giunto a Mantova con la sua equipe di collaboratori chiamato dal duca Federico II Gonzaga (1500-1540), con lo scopo di dare vita ad una manifattura di arazzi locale, che si avviò proprio con la creazione di questo ciclo. Federico affidò il disegno del ciclo all’artista di corte Giulio Romano, allievo di Raffaello. La scena, lieta e animata, riprende fedelmente una fonte iconografica ellenistica, le Εἰκόνες (Immagini) di Filostrato il Vecchio e in particolare il capitolo degli Erotes (amorini).
Questa fonte permetteva al duca di celebrare il buon governo, una nuova età dell’oro che Mantova stava vivendo grazie alla famiglia Gonzaga: un tempo di pace e di prosperità, iniziato sotto Federico II. Alla morte di Federico II, il ciclo non era concluso, ma fu continuato durante la reggenza del fratello, il cardinale Ercole. Caratteristica saliente ed originale degli arazzi è l’assenza di bordura, allo scopo probabilmente di esporli uno a contatto con l’altro per coprire completamente una stanza e dare all’osservatore l’illusione di sedere all’aperto, in un viale alberato, con le acque del fiume ai lati e paesaggi che si dilatano all’infinito. Lo schema compositivo ripropone in ogni panno un pergolato circolare che occupa la parte superiore della scena in cui ai tralci di vite si accostano di volta in volta altri frutti autunnali: zucche, melagrane, castagne.
Sopra e dentro i racemi vegetali i puttini sono intenti a vendemmiare, raccogliere i frutti, o a cacciare uccelli. Nel frammento di Milano è presente anche un delizioso amorino dai lineamenti africani: si tratta di una delle prime testimonianze della presenza di paggi di colore presso le corti italiane, dove erano apprezzati per la loro bellezza ed esoticità. L’armonia compositiva è accentuata da una gamma cromatica raffinatissima, tutta giocata sui toni autunnali, in cui predominano i gialli, gli ocra, i marroni, in contrasto col verde brillante e l’azzurro del ruscello, mentre i paesaggi sfumano in lontananza. La luminosità delle tinte è sapientemente aumentata grazie alla presenza di filati dorati e argentati.
Squisito è lo studio delle ombre e dei riflessi. Senza dubbio i vertici qualitativi di questi tessili si devono alla presenza di Giulio Romano, che indirizzò e supervisionò le scelte tonali. Sono infine le perfette proporzioni anatomiche degli infanti, dalle gote paffute e i capelli ricci, a rivelarci l’ascendenza di queste figure dalla grande lezione raffaellesca. Federico II morì pochi mesi dopo l’arrivo di Karcher a Mantova. Il progetto fu fatto completare dal fratello di Federico II, il cardinale Ercole Gonzaga (1505-1563), che fece aggiungere ai panni già conclusi le proprie insegne cardinalizie. La serie dovette comunque essere conclusa prima del 1545, quando Karcher si spostò a Firenze.
Sappiamo che la serie era composta in origine da “dieci panni di grandi dimensioni, due portiere e due sopraporte”. Notevolissimo fu il costo di questi manufatti: per realizzarlo tra il 1540 e il 1543 furono acquistati circa 616 scudi d’oro in materie prime tra lana di Bruxelles e fili di seta rivestiti in lamina d’oro e argento acquistati a Milano. Karcher e la sua bottega furono stipendiati settimanalmente per tre anni e mezzo tra il 1541 e il 1544. Gli arazzi sono citati negli inventari gonzagheschi fino al 1707, quando la dinastia si estinse. I Puttini scompaiono dall’orizzonte documentario fino alla fine del XIX, quando riemergono a Roma. Il nostro frammento passò nel 1878 dalla casa romana di Don Carlo Cagnola a Gian Giacomo Poldi Pezzoli.
Scheda tecnica
Artista
Giulio Romano, 1499 ca.-1546
Data
1540 - 1545
Materia e tecnica
lana; seta; fili d'argento; fili d'oro
Dimensioni
341 cm x 107 cm
Acquisizione
legato Gian Giacomo Poldi Pezzoli, 1879
Inventario
0383
ubicazione
Salone dell’affresco
Questa sala era in origine l’atrio di accesso al palazzo e la sua volta era decorata con lo stemma della famiglia Poldi Pezzoli. Prende il nome dall’affresco sul soffitto, dipinto tra il 1740 e il 1745 da Carlo Innocenzo Carloni, che raffigura l’Apoteosi del condottiero Bartolomeo Colleoni. L’affresco, che proviene da Villa Colleoni di Calusco d’Adda, è stato trasferito al Museo durante i lavori di ricostruzione del dopoguerra.
Nella grande vetrina è esposto uno dei tesori del Museo, il Tappeto di Caccia, eseguito nella Persia Safavide, firmato e datato 1522-1523.
La sala è dedicata anche a ospitare mostre temporanee, conferenze e convegni.
collezione
Tessili
La collezione dei tessili, vasta ed eterogenea, raccoglie importanti tappeti antichi persiani e arazzi rinascimentali. Inoltre essa si compone di centottanta tessuti antichi, datati dal XIV al XVIII secolo, tra i quali rari velluti italiani e preziosi paliotti d’altare del Quattrocento lombardo. Antichi tessuti copti, pizzi e ricami lombardi e fiamminghi dal Sette all’Ottocento sono stati acquistati e donati successivamente.