STORIE
Gian Giacomo
Poldi Pezzoli:
il mecenate dall’anima curiosa
Intraprendi un viaggio nel passato con la storia di un uomo la cui passione per l’arte
ha creato una delle collezioni più incredibili di tutti i tempi.
Gian Giacomo Poldi Pezzoli d’Albertone nacque a Milano il 27 luglio 1822, secondogenito, dopo Matilde, di Giuseppe e Rosina Trivulzio.
Il padre Giuseppe, parmense, a cinquant’anni, nel 1818, aveva ereditato dallo zio Giuseppe Pezzoli, insieme al cognome e al titolo nobiliare, l’enorme ricchezza accumulata dai Pezzoli a metà Settecento come esattori delle imposte nella Lombardia austriaca. L’anno successivo Giuseppe aveva sposato Rosa Trivulzio (1800-1859), appartenente a uno dei casati aristocratici più antichi di Milano e figlia del bibliofilo e dantista Gian Giacomo.
Nel 1833 Giuseppe Poldi morì lasciando erede il figlio di un immenso patrimonio e del titolo di cavaliere dell’Ordine costantiniano. Il giovane fu educato privatamente, sotto la guida di Antonio Gussalli, discepolo di Pietro Giordani, che lo avvicinò alla cultura classica, alla storia contemporanea e agli ideali liberali progressisti.
Nella formazione della sua cultura artistica giocò un ruolo fondamentale la madre Rosina, la quale si stava affermando come mecenate dello scultore Lorenzo Bartolini.
Assidua fu inoltre la frequentazione del Museo Trivulzio, collezione antiquaria e libraria di straordinaria importanza, appartenente al nonno materno. A ciò si affiancarono viaggi in Italia, e frequenti soggiorni a Firenze e Parigi.
LORENZO BARTOLINI (1777-1850)
Bartolini fu uno scultore italiano rinomato, campione del “bello naturale”.
Dopo aver iniziato la sua carriera a Firenze, Bartolini si trasferì a Parigi nel 1803, dove lavorò sotto la guida di Jacques-Louis David, un influente pittore neoclassico. Durante il suo soggiorno in Francia, Bartolini fu influenzato dal periodo napoleonico, ricevendo commissioni importanti che consolidarono la sua reputazione. Tuttavia, con la caduta di Napoleone, le sue fortune cambiarono, e nel 1815 decise di tornare in Italia, stabilendosi a Firenze dove aprì uno studio che divenne un importante centro per l’arte e la scultura.
Giacomo Poldi (così si firmava nelle sue missive) crebbe quindi in un clima culturale fervido: molti artisti, amici di Rosina, che divennero in breve tempo anche suoi, furono spesso ospiti a Bellagio nella villa di famiglia, come i pittori Cesare Mussini, Massimo d’Azeglio e Giuseppe Molteni.
Dal 1846, entrato in possesso del proprio patrimonio, il giovane comparve all’annuale Esposizione braidense, inserendosi così nel novero di quella colta committenza milanese che supportava la locale accademia.
La passione per le armi era in linea con la moda del tempo. Tra il 1846 e il 1848 acquistò diverse centinaia tra armi e armature; gli acquisti proseguirono lungo tutto l’arco della vita, con una sempre maggiore attenzione alla qualità, tanto che entro il terzo quarto del secolo Gian Giacomo era divenuto in questo campo il collezionista più importante d’Italia.
Negli stessi anni intenso fu il suo impegno nel sostegno e nella gestione di enti assistenziali e benefici, nelle istituzioni scolastiche e professionali, nell’associazionismo culturale e patriottico, emergendo così una sua propensione intellettuale progressista.
La sua adesione agli ideali risorgimentali è testimoniata da una partecipazione convinta alle Cinque giornate e alla prima guerra d’indipendenza.
Questa esposizione così netta nella lotta contro l’Austria lo costrinse, dopo la sconfitta dell’agosto 1848, a rifugiarsi a Lugano, mentre il suo nome appariva nell’elenco dei cittadini ai quali il maresciallo Josef Radetzky impose una pesante multa.
Ottenuto un passaporto, nel 1849 partì per un lungo viaggio: fu prima in Francia e poi in altri Stati italiani, risiedendo a lungo a Firenze. Costretto infine a rimpatriare a Milano, pagò una multa di 600.000 lire austriache per ritornare in possesso dei suoi beni.
Nella Milano dominata dalla censura austriaca Giacomo Poldi interpretò un ruolo diverso da quello politico per manifestare il proprio patriottismo:
riservò tutto il suo impegno per costituire una collezione d’arte antica e comparire in città quale grande mecenate e patrono delle arti.
Tra il 1850 e il 1853 affidò a Giuseppe Balzaretto la costruzione di un nuovo caseggiato, gemello del seicentesco palazzo di famiglia nella strada denominata ‘corsia del Giardino’ (oggi via Manzoni). All’interno, un programmatico recupero del passato trasformò completamente i lineamenti neoclassici dell’edificio.
Nei ripetuti soggiorni parigini Poldi Pezzoli aveva potuto ammirare il nuovo Musée des Thermes et de l’Hotel de Cluny, creato da Alexandre du Sommerard, pioniere della museografia romantica: una collezione non costituita solo da dipinti e statue, ma da preziosi arredi e oggetti d’arte applicata antichi, scelti anche per evocare un’artificiosa atmosfera domestica. Lo strepitoso successo di questa nuova interpretazione del passato e del connesso modello museografico dovette confortare Poldi Pezzoli nella scelta della costruzione di una casa-museo, che sarebbe stata tra i primi e più aggiornati esempi a livello europeo di casa-museo in stile storicista, e che avrebbe riscosso grandissima ammirazione da parte dei contemporanei.
Determinante per questa decisione fu l’incontro con il giovane pittore e vetratista Giuseppe Bertini. Dal 1853 al 1879 fu Bertini a ideare ogni stanza della casa in stile storicista, coadiuvato dal pittore Luigi Scrosati, dal bronzista Giuseppe Speluzzi e dallo scultore Lorenzo Vela. Nacquero così il Gabinetto dantesco nello stile del Trecento italiano, la Sala nera nello stile del Rinascimento del nord, la Sala degli stucchi in stile rococò, lo Scalone barocco e infine il Salone dorato.
Giacomo Poldi profuse spirito etico e passione civile anche nella costituzione di un museo dedicato all’antica arte italiana dove spiccavano dipinti della scuola toscana, umbra, veneta, emiliana, manifesto di un’unità culturale nazionale che anticipava quella politica.
La raccolta, messa insieme con costanza dal 1850 sino al 1879, vantava pezzi di eccezionale qualità dei più noti maestri del Rinascimento, come Botticelli, Mantegna, Cosmè Tura, Carlo Crivelli, Giovanni Bellini, Piero del Pollaiolo, ma anche le opere più tarde di Canaletto e Guardi, e dipinti medioevali dai fondi in oro di Vitale degli Equi e Pietro Lorenzetti.
Fu inizialmente Giuseppe Molteni a rivestire un ruolo fondamentale nella costituzione della quadreria. Direttore dell’Accademia di Brera, antiquario e mediatore, restauratore di fama europea, per suo tramite Poldi Pezzoli entrò in contatto con l’ambiente accademico e dei conoscitori-collezionisti.
Molto fecondo fu il rapporto instaurato da Poldi Pezzoli con il circolo dei conoscitori europei, come Otto Mündler e Charles Lock Eastlake, rispettivamente emissario per gli acquisti e direttore della National Gallery di Londra, che nei loro periodici viaggi a Milano non perdevano occasione per visitare la costituenda collezione del nobiluomo, con il quale gareggiavano nell’acquisto di pittori primitivi e rinascimentali italiani,
GIUSEPPE MOLTENI (1800 – 1867)
Si formò a Bologna sotto la guida di Giuseppe Guizzardi, e al suo ritorno a Milano, divenne rapidamente uno dei restauratori più rinomati dell’epoca.
La sua competenza nel restauro lo portò a collaborare con istituzioni prestigiose come il Louvre e il British Museum. Nel 1828, introdusse il “ritratto ambientato”, un genere che metteva in risalto con minuziosa e sfarzosa attenzione i dettagli dell’ambiente e dei costumi.
Dalla metà degli anni ’50, la sua presenza costante nelle Esposizioni di Belle Arti di Brera iniziò a diminuire, culminando nel definitivo abbandono della pittura in seguito alla sua nomina a conservatore della Pinacoteca dell’Accademia di Brera nel 1854.
Nel 1860, ottenuto il passaporto del Regno d’Italia, poté finalmente tornare a viaggiare dopo dieci anni: partì per un viaggio di qualche mese in Svizzera, Germania, Francia e Inghilterra, dove tornò anche nel 1862 in occasione della III grande Esposizione di Londra.
“
Dispongo che l’appartamento da me occupato nell’ala tra il giardino e le due corti del mio palazzo via del Giardino 12 colla Armeria, coi quadri, coi capi d’arte, colla biblioteca e coi mobili di valore artistico che vi si troveranno all’epoca di mia morte costituisca una Causa o Fondazione Artistica nel senso che venga mantenuto […] ad uso e beneficio pubblico in perpetuo colle norme in corso per la Pinacoteca di Brera.”
Nel 1871, con testamento segreto gettò le basi per la creazione di un museo o fondazione artistica, costituita dall’insieme della sua casa e della personale raccolta d’arte.
La direzione fu affidata all’amico Bertini, che nel frattempo era divenuto direttore dell’Accademia di Brera; il museo fu dotato di un vitalizio destinato a coprire i costi di gestione e gli acquisti di opere antiche e moderne. Veniva così delineata un’esemplare forma giuridica, al servizio della comunità e della città, con una netta vocazione municipalistica.
Morì improvvisamente per un’angina pectoris il 6 aprile 1879 nel suo palazzo di Milano. Venne sepolto a Bellagio, in un mausoleo in stile neogotico romanticamente isolato, che Carlo Maciacchini aveva innalzato per lui.